E amo il viaggio come metafora.
E' una metafora facile, lo so.
Banale.
La uso spesso e volentieri.
Direi che ne abuso.
Spudoratamente.
Sarà che è tempo di vacanze, sarà che - avendo un albergo - di questi tempi incontriamo più persone del solito (molti turisti e alcuni viaggiatori)... sarà che ho sempre amato viaggiare e che partirei adesso (in pigiama), ma in questo periodo il viaggio mi batte in testa continuamente, sia come spinta, richiamo, tensione (vi racconterò), sia come metafora dell'apprendimento.
Da giorni non riesco a fare a meno di pensare che l'apprendimento, la conoscenza potrebbero, dovrebbero essere un viaggio pieno di meraviglia, avventuroso, ricco di sorprese, di cambi di rotta, di incontri inaspettati.
Nordico ed io - ognuno per conto proprio (sia messo agli atti!) - fino ad una decina di anni fa, partivamo zaino in spalla, scarpe comode, macchina fotografica reflex, diario di bordo, niente telefonino.
Sceglievamo la destinazione, ci procuravamo una mappa, tracciavamo un percorso, ma poi cambiavamo direzione strada facendo.
Prima di partire, immaginavamo i posti che avremmo visitato, buttavamo giù un'ipotetica tabella di marcia, ma poi - una volta "dentro al viaggio", dimentichi delle nostre stesse intenzioni - sceglievamo di fermarci per giorni e giorni in un luogo, senza motivo, se non quello di goderne l'atmosfera.
Del Messico ricordo, in particolare, i giorni trascorsi a Oaxaca: la piazza alberata, le case basse e colorate, il senso di libertà assoluta nell'essere lì, da sola, a decidere il mio cammino.
Se chiudo gli occhi, in un attimo torno lì.
Ecco, la conoscenza, l'apprendimento dovrebbero assomigliare a questo tipo di viaggio.
Ognuno dovrebbe poter scegliere la destinazione, cambiare rotta; ognuno dovrebbe essere libero di fare incontri e godere di scoperte inaspettate; ognuno dovrebbe potersi fermare quando serve, se serve. Riposare, meditare, tornare sui propri passi e poi ripartire sazio, appagato, entusiasta verso nuove destinazioni.
L'apprendimento dovrebbe essere un viaggio lungo tutta la vita.
Ma la scuola...
La scuola non è un viaggio, nonostante lo zaino possa evocarlo.
La scuola è piuttosto un Tour Organizzato.
Non scegli la destinazione, le tappe, i tempi: altri hanno già scelto per te.
Basta salire a bordo... e lasciarsi guidare:
"Alla vostra destra potete ammirare il teorema di Pitagora; alla vostra sinistra i numeri in inglese da 1 a 10; prego proseguiamo veloce per raggiungere entro le 11.00 i verbi transitivi; le domande, non ora , per favore, altrimenti ci chiude la mensa. Signori, vi ricordo che dopo pranzo avrete 15 minuti di libertà nei quali vi invito ad usufruire della toilette; ci vediamo alle 13.00 in punto, qui nella hall della scuola, per fare l'appello. Proseguiremo, poi - come da programma - con la visita al laboratorio di scienze, dove potrete assistere all'ebollizione. Infine, vi ricordo che domani alle 9 in punto è prevista la presa della Bastiglia, non mancate".
Tornati a casa avranno gli stessi quaderni, le stesse facce annoiate, gli stessi compiti.
Così come tornati a casa, dai tour organizzati, hanno tutti le stesse foto, le stesse facce vacuamente soddisfatte, gli stessi sfuggenti ricordi e tristanzuoli souvenir.
Li vedo passare in fila, per le strade di Firenze, lo sguardo fisso sull'ombrellino della loro guida (perdersi non è nei programmi! Peccato.). Alcuni arrancano stanchi qualche metro indietro; pochissimi si distraggono; non si parlano fra loro perché, dotati di tecnologici auricolari e ricevitori, sono in costante contatto con il tour leader che chissà cosa gli racconta, a passo di marcetta, per le strade di una delle città più belle del mondo. All'unisono - e sempre camminando - puntano le loro macchine fotografiche (ultimamente i loro tablet) e scattano foto ininterrottamente (non serve neanche più fermarsi per la messa a fuoco). Guardano Firenze attraverso lo schermo (come fossero già tornati a casa) e sempre di corsa, per rispettare il programma.
Quando si fermano è perché l'ombrellino si è fermato.
Mi fanno un po' pena, ammassati su uno dei marciapiedi laterali del Duomo, tutti con il naso all'insù. Cosa gli racconterà la guida? E loro davvero ascoltano? Li osservo e poi mi guardo intorno.
Quante cose si perdono: a destra ci sono i ritrattisti con i loro sgabelli che cercano di adescare clienti, a sinistra i cavalli con le carrozze, dietro di noi la fila fuori da una gelateria, e qui, proprio qui, davanti ai loro nasi, due innamorati si fermano per baciarsi.
Ehi! Sveglia!
Vorrei urlare
Guardate che bello:
ci sono due che si amano!
Ma basta un attimo, basta il tempo di un bacio, che già sono andati: ripartiti di gran carriera verso la tabellina del 9.
Spero che i miei figli possano avere sempre uno zaino e scarpe comode.
Spero che imparino a leggere una mappa e lo sguardo delle persone.
Spero che abbiano voglia di scrivere un diario e che non debbano svolgere un tema.
Spero che si fermino di fronte ad un bacio.
Spero che si perdano dentro un bacio.
Spero che imparino a fare programmi e a cambiarli all'occorrenza.
Spero che sappiano trovare la strada e che godano nel perdersi.
Spero che facciano poche foto, ma uniche.
Spero che camminino per il mondo con le orecchie ben aperte.
Spero che non seguano mai il fiocco in cima ad un ombrellino.
Spero che siano viaggiatori (e non turisti) sia del mondo che della conoscenza.